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Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento individuale
Data: 08/07/2004
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 81/04
Parti: Telecom Italia SpA / Francesca P.
LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - COMPORTO


Il caso posto all'esame della Corte d'Appello di Bologna è reso particolare dal fatto che riguarda un licenziamento intervenuto proprio in coincidenza con una modifica del contratto collettivo in materia di "periodo di comporto" ed, in particolare, con l'introduzione del diritto (avvenuto anche ad opera del CCNL Federmeccanica) ad un prolungamento del periodo di diritto alla conservazione del posto di lavoro a favore del lavoratore che "alla data di scadenza del comporto breve abbia in corso una malattia con prognosi pari o superiore a tre mesi". Il lavoratore era stato licenziato all'inizio dell'anno 2000 avendo superato il 365° giorno di assenza per malattia (comporto breve) quando, alla data del licenziamento, aveva già totalizzato 42 giorni di durata. Alla scadenza dell'ultimo certificato di malattia (pochi giorni dopo) non si era più curato di far certificare la prosecuzione dello stato di malattia non essendo a conoscenza delle nuove disposizioni contrattuali. Successivamente, peraltro, il proprio medico curante certificava la persistenza dello stato ansioso depressivo a causa del quale era stato, in precedenza, assente per malattia, e sulla base di tale diagnosi il dipendente impugnava il licenziamento avanti al Tribunale di Reggio Emilia, evidenziando come fosse stata la stessa datrice di lavoro a mettersi nelle condizioni di non essere più destinataria delle certificazioni di malattia, e richiedendo una consulenza tecnica per accertare che nel periodo compreso tra la data del licenziamento e la scadenza del trimestre dall'inizio dell'ultimo certificato sussisteva una malattia impeditiva della prestazione lavorativa. Ciò doveva rilevare, a parere della difesa del lavoratore, in quanto il riferimento alla prognosi della malattia non impediva che la norma contrattuale collettiva fosse applicabile anche ai lavoratori che avessero superato i tre mesi di malattia continuativa con più certificazioni, non ostando a ciò alcun riferimento contrattuale ad una sola certificazione medica. Il Tribunale aderiva parzialmente a tale impostazione, affermando che per il passaggio automatico dal comporto breve al comporto lungo fosse necessaria la conoscenza delle due parti del rapporto della realizzazione del particolare evento protetto e che, ai fini di tale conoscenza, apparisse funzionale non già la durata effettiva della malattia, bensì la prognosi del medico chiamato a certificare lo stato di malattia, con la precisazione che "l'unitarietà della prognosi non era affatto esclusa dalla sua formulazione mediante successive certificazioni caratterizzate dal presentare tra loro soluzioni di continuità temporale". Ciò nonostante respingeva il ricorso ritenendo, anche in base alle risultanze della CTU, che l'effettività di una malattia non inferiore a tre mesi non potesse ritenersi sufficientemente provata. Anche la Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, confermava la legittimità del licenziamento. Dopo aver richiamato la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia (Cass. n. 5413/03; n. 9037/01) e l'art. 2110 cod. civ., che prevede determinati eventi come cause legittimamente impeditive della prestazione lavorativa, sottraendole quindi alla disciplina generale in materia di contratti (art. 1256 e 1464 cod. civ.) nonché al regime limitativo della facoltà di recesso del datore di lavoro (legge n. 604/1966 e art. 18 legge n. 300/1970) ha evidenziato come il comma primo della detta norma riversi sul datore di lavoro il rischio della perdita della controprestazione, in quanto configura una fattispecie legale di impossibilità temporanea della prestazione lavorativa, che è riferibile alla persona del lavoratore, ma a lui non imputabile. Peraltro il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali (V. Cass. n. 5413/03; n. 7047/03). La Corte d'Appello di Bologna non ha ritenuto che il caso di specie rientrasse nella nuova previsione della disciplina contrattuale, ritenendo tutelate dalla stessa solo le malattie "in atto" nella fase conclusiva del comporto breve la cui prognosi, comunicata al datore di lavoro, sia non inferiore a tre mesi. Rispetto alla tesi recepita dal primo giudice "in forza della quale l'unitarietà della prognosi non è esclusa dalla sua formulazione mediante successive certificazioni" (accolta in via meramente ipotetica) la Corte fa discendere dal principio secondo cui il datore di lavoro può recedere dal rapporto non appena il lavoratore supera il periodo di conservazione del posto previsto dal CCNL, il seguente corollario: "qualora il dipendente intenda far valere il prolungamento del periodo di comporto, rimane onere a suo carico dimostrare il verificarsi delle condizioni di fatto che hanno dato luogo all'insorgenza del diritto al prolungamento del comporto" e quindi il lavoratore licenziato avrebbe dovuto "continuare ad inviare al datore di lavoro la certificazione di malattia, proprio allo scopo di notiziarlo che il superamento del comporto era dipeso da una patologia lunga, con prognosi pari o superiore a tre mesi". L'affermazione di tale principio apre quindi qualche spazio in tutte quelli ipotesi in cui le malattie lunghe (ultratrimestrali) siano composte, come quasi sempre accade, da prognosi per periodi più brevi, poi prolungate senza soluzione di continuità: in tale ipotesi sembrerebbe quindi possibile (ed utile per il lavoratore eventualmente licenziato) continuare ad inviare al datore di lavoro eventuali rinnovi di periodi di malattia anche in caso di intervenuto licenziamento, salvo verificare - all'esito del periodo complessivo di assenza ininterrotta per malattia - se il superamento del comporto era dipeso da una patologia con prognosi complessivamente superiore ai tre mesi, seppure frammentata da certificati medici di più breve durata. Sarebbe importante che su tale specifica problematica si ottenessero altre pronunce da parte della magistratura